Relazionarsi in una lingua straniera

“La vita è un viaggio e chi viaggia vive due volte”
Omar Khayyam

Quando un individuo si trova all’estero, in un contesto lavorativo, di apprendimento o semplicemente di svago deve attivare specifici meccanismi di adattamento. Nella fase iniziale, in cui non conosce bene la lingua, l’ambiente richiede uno sforzo e la risposta individuale dipende in gran parte dalle sue caratteristiche personologiche.

Un’esperienza molto comune è il sentimento di vergogna e inadeguatezza. L’impossibilità di esercitare la propria abilità fino a quel momento, infatti, contribuisce ad una condizione di incertezza sulle proprie capacità. Horwitz, Horwitz and Cope (1986) hanno elaborato a questo proposito un vero e proprio modello teorico chiamato “foreign language anxiety” (ansia da lingua straniera, ndr).

Ma questo può succedere anche rimanendo a casa nostra, quando ci imbattiamo, ad esempio, in un turista che ci chiede indicazioni su come raggiungere il Duomo di Messina, situazione che spesso crea un forte imbarazzo. Secondo gli autori si tratterebbe di una sorta di disturbo d’ansia reattivo, specifico della situazione, basato su tre aspetti: (1) apprensione nella comunicazione; (2) ansia della valutazione; (3) paura di giudizi negativi.

E’ possibile infatti non riuscire a rispondere a causa del timore di fare errori o di offendere l’interlocutore, nella frustrazione dovuta alla difficoltà a trovare il vocabolo giusto. Quando ci troviamo all’estero, invece, cediamo piuttosto alla tendenza a “tradurre” i pensieri e al sollievo provato per l’incontro con un connazionale con cui parlare la lingua nativa.

In realtà quando si trascorre all’estero un tempo prolungato la socializzazione è fondamentale per l’adattamento e l’integrazione. La prime domande, quando conosciamo una persona nuova, sono sempre “come ti chiami?” e “da dove vieni?”.

Questa routine corrisponde ad almeno tre bisogni: intraprendere delle relazioni in un contesto di estranei, definire la propria identità e l’identità dell’altro presentandosi, avere delle informazioni sul Paese di origine utili ad orientare il nostro comportamento sulla base delle nostre conoscenze.

Questa interpretazione trova fondamento nelle teorie della Psicologia Sociale sugli stereotipi ovvero le aspettative che orientano la nostra valutazione degli altri e il nostro comportamento nei loro confronti (Brown, 2000). Tuttavia tali stereotipi derivano soprattutto dalle immagini trasmesse dai media e spesso si fondano su bias (errori, ndr) – provate ad esempio a pensare quando all’estero ci identificano con mafia, pizza e mandolino.

Ciò che rende l’esperienza delle relazioni internazionali realmente straordinaria è la narrazione. Attraverso i racconti, le fotografie, i video, la musica proveniente da altri Paesi la percezione dell’Altro cambia. Gli stereotipi vengono abbattuti, si conoscono realtà differenti e spesso si trovano somiglianze. Lo straniero non è più estraneo, ma è più simile a noi di quanto potevamo immaginare e parallelamente si attiva un altro processo: la narrazione di noi stessi.

L’effetto di questi processi porta a diversi esiti. Il primo è senza dubbio l’apprendimento della lingua, che viene utilizzata per esprimere idee e opinioni personali. Certamente, in qualità di seconda lingua, richieda una negoziazione del significato, ci si preoccupa sempre meno delle regole grammaticali e dei possibili errori quando si comprende che lo scopo più importante da raggiungere è farsi capire. Questo crea uno specifico contesto di apprendimento implicito, basato su processi inconsapevoli di generalizzazione ed astrazione.

Gli psicolinguisti ritengono inoltre che la fluenza è veramente possibile quando si comincia a pensare e sognare in lingua straniera, quando cioè essa raggiunge le parti più profonde della mente: “Quando sogni in un’altra lingua essa non è più uno strumento di comunicazione razionale ma appartiene all’inconscio” (Tabucchi, 1991).

In questo i mezzi tecnologici – le applicazioni di chat e i social networks come Facebook – svolgono un ruolo facilitante, come scientificamente dimostrato (Dekhinetet al., 2008). Da un lato permettono di esercitare le abilità di scrittura, dall’altro alimentano le relazioni e la reciproca conoscenza, aumentando i livelli di coscenziosità ed estroversione (Kao & Craigie, 2014).

Il secondo punto riguarda in modo più profondo l’identità. L’esperienza di confronto sociale (Festinger, 1954) permette di creare delle rappresentazioni più complesse di sé e dell’altro. Secondo la Teoria delle Relazioni Oggettuali infatti, la rappresentazione degli altri è tanto più evoluta quanto più è complessa e differenziata (Westen, 1991).

Infine, un altro interessante aspetto che funge da collante nella sfera delle relazioni interpersonali è la musica. La digitalizzazione e le classifiche internazionali hanno permesso che divenisse estremamente conosciuta e diffusa e ciò dà motivo di pensare che sia un vero e proprio linguaggio universale. La musica da una parte è uno strumento utilissimo di apprendimento della lingua, perchè permette di apprendere intere frasi ed espressioni in modo piacevole, e dall’altra permette la condivisione di sentimenti ed emozioni che vanno oltre le parole.

* Ringrazio per la collaborazione la Dott.ssa Simona Santoro, Università di Palermo; la Dott.ssa Miray Kurt, Università di Istanbul, Turchia e la Dott.ssa Glaucia Sales Jacob, Psicologa e Psicoterapeuta, Università di Landrina, Brasile.

Amelia Rizzo

Amelia Rizzo

Amelia Rizzo, classe 1986. Si laurea in Scienze Cognitive e Psicologia presso l'Università degli Studi di Messina. Collezionista di titoli, a causa della sua passione per la Ricerca viene condannata a tre anni di Dottorato, ma pare ne abbia già scontato la metà. Chiamata a curare la rubrica di #psycologia, non ha potuto rifiutare questa insolita richiesta d'aiuto.
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